Galleria d'Arte
Raffaella De Chirico

via Monte di Pietà 1A
20121 Milano

Ph +39 392 89 72 581





TI TROVO UN PO' PALLIDA

Dal 04/05/2016 Al 03/06/2016

Si fa presto a dire bianco, c’è quello raffinato e quello dozzinale,
ogni sfumatura ha un suo carattere proprio.
Haruki Murakami


Da un romanzo di Carlo Fruttero, la galleria De Chirico rende omaggio al mese letterario torinese per eccellenza con una mostra dedicata al “non colore”, il bianco e le sue sfumature. L’esposizione presenta una declinazione pittorica, plastica e scultorea attraverso una selezione di artisti differenti per area geografica, epoca e storia.

Marc Angeli nel 1986 inizia la produzione di opere di piccolo formato su supporti di legno di differenti spessori, di un unico colore, concentrazione, materialità, energia, materiali organici. In mostra un lavoro del 2010.

Pittura, cinema e produzione di libri sono solo alcuni dei linguaggi che Gianfranco Baruchello sperimenta mosso dalla necessità di capire se stesso e quanto gli capita in sorte, pronto a rischiare l’invenzione di un proprio linguaggio; in esposizione un acrilico su alluminio del 2010.

Enzo Cacciola si situa nella pittura di matrice concettuale: il cemento del concettuale, le forme di una lunga frequentazione dell’astratto geometrico, un inedito connubio fra materia e geometria in grado di sondare e palesare l’intima natura algebrica, razionale, del reale. Il lavoro in mostra è un multicum del 2014.

Nel 1961, che nell’opera complessiva di Winfred Gaul deve essere classificato come l’anno del capovolgimento e del radicale nuovo inizio, l’artista inserisce nelle sue immagini, per principio ancora monocrome, delle zone di altri colori come strisce compiendo così il passaggio alla struttura composta.

Nel ciclo di Castel Burio (serie Monferrato), la memoria del luogo di Raimund Girke sollecita mutazioni dal bianco al blu, sensibili andamenti del gesto spingono verso una direzione o nell’altra, ritmi trasversali si alternano a slanci verticali, lo sguardo non si blocca mai ma scorre nel luminoso trasalire del colore-luce.

Verso la fine degli anni Settanta, Paolo Icaro sente il desiderio di trovare una materia duttile, da manipolare, impastare e scopre nel gesso il proprio elemento. Plastico, flessibile, fragile e monocromo, diviene protagonista di molte opere degli anni ottanta - il Paesaggio lunare è del 1988 - e rimane tutt'oggi il materiale principale, spesso combinato ad altri elementi.

Le opere di Horiki Katsutomi possiedono i caratteri di una narrazione e riflessione infinita e atemporale. Il metodo pittorico e i soggetti raffigurati esprimono una costante idea di ricerca, di viaggio, di ciclicità che sembra non trovare mai fine. In mostra un lavoro storico del 1978.

L’Auriga per me è l’immagine, oltre i cimenti di venticinque secoli, della resistenza vittoriosa al tempo. Egli è danneggiato, ma guida sempre “ciò che è stato fin da quando esiste”. Ed è proprio l’Auriga che Roman Opalka “interpreta” nei propri autoscatti: in esposizione due fotografie della prima metà degli anni Novanta.

Pino Pinelli semplifica. Costruisce modelli di rappresentazione che sono l’ossatura, la struttura di un insieme che può essere infinitamente più articolato, ma la costruzione, la complessità, la sovrastruttura la lascia ad altri, la fa intuire in nuce nelle proprie disseminazioni, ma se ne disinteressa. In mostra un lavoro del 2004.

Nel 1962 Mario Schifano è negli Stati Uniti dove conosce da vicino la Pop Art: in quegli anni il dipinto diventa schermo, punto di partenza, spazio di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre, lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica. In esposizione proprio un lavoro di quell’anno.

Fabio Soto Ortiz esprime il proprio stato d’animo attraverso i suoi lavori: sono figure geometriche, rettangoli che per forma l’artista associa al papiro, rettangoli che non sono mai posti al centro dell’opera perché rappresentativi dell’instabilità della nostra vita. In mostra un lavoro del 2016, totalmente bianco.

In tutta la sua carriera Grazia Varisco ha usato la luce e lo spazio, il movimento e le forme geometriche tridimensionali per creare esperienze sensoriali e alterare le regole visuali, usando mezzi sempre diversi per alterare la percezione delle sue opere, che cambiano a seconda di come le si osserva.

Solo attraverso un’indagine analitica che affronti il problema della pittura in quanto pittura, ovvero del materiale, del modo di operarlo, del lavoro che esso implica, della superficie di stesura, della dimensione, si può ricostruire un nuovo linguaggio, veramente autonomo, non mutuato da altre discipline. Di Gianfranco Zappettini in esposizione un’opera del 1975 del ciclo Tele sovrapposte.

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