DAGOSPIA | Artissima? Un grottesco nulla fieristico! | Marco Vallora per La Stampa
07/11/2014Flashback 2014, che quest’anno si è spostato al Pala Isozaki, recita come intestazione: «L’arte è tutta contemporanea». Che è poi quasi un lapalissismo, visto che è ovvio che un Del Maino visto qui è molto più moderno di tante insulse inezie, ammannite da Artissima, e ben più «contemporaneo» della vieta rimasticatura-ramarro della mantellina-pioggia di dollari catellaniani, per la mostra «Caca e muori», tanto per dirla alla Rabeleis (e non fingersi chic-cosmopoliti).
Ma quanti devoti del grottesco Nulla Fieristico si affacceranno qui, in questa piccola Maastricht in miniatura, che con sole, coraggiose 32 gallerie, in nome d’una curiosità labirintica (è il tema dell’anno, omaggiato dall’artista Alessandro Bulgini) svaria dalle faretre ed armature di samurai (di Piva Arte Giapponese) agli iperbolici tappeti Serapi di Cattai, dai gioielli alle cornici barocche, dalle sofisticherie déco di Daniela Balzaretti (ma anche consolles di Bugatti) ai magnifici cavallini cinesi di Schreiber?
Se vien meno (mercato dettando) il gusto del mobile d’epoca, è la pittura-scultura a dominare, addirittura con una Madonna di Sansovino (Romigioli) ed una spettacolare Pietà levitante e straziata da Longari, che non manca di belle miniature ed altre preziosità gotiche.
Ma il premio allora andrà al doppio stand (padre, figli, nipoti) di Benappi (insieme con l’esperto in scultura lignea Pozzallo) che gioca sul duplice binario antico-moderno. Passando da Andreotti, Minerbi e Mino Rosso, sino ad un interno incantato di Barin, confrontati a maestri lignei tirolesi ed aostani (è presenta anche un bel san Francesco dalla testa spiccata di De Lohny, artista caro a Gianni Romano) e poi Mossettaz, Defendente Ferrari e via così.
Senza dimenticare lo spettacolare e spettacoloso San Giovanni urlante di Del Maino, che pare librarsi nel dolore, ed un maligno Traversi, con la vecchia megera che addenta una spinetta, facendo la sua lezione di musica, e coprendo un torbido legame della pupilla.
Da Voena vince un gioco ardito di rimbalzo, tra due divertenti sky-line di La Chapelle, intrecciati con lattine di bibite, con il vedutista fiammingo italianizzante Van Lint (mentre come sempre il côté nordico è assorbito da Caretto: Breughel il giovane, Ostade, Steen).
Idem da Lampertico, ove si affrontano un crocefisso portatile dell’umbro Caporali, con Hartung, Dadamaino, Bonalumi, che fa, nel complesso numerico, parte del leone. Insieme a Carol Rama, omaggiatissima: e bisogna dire che all’entrata, il colpo d’occhio, da Raffaella De Chirico, di una sua languente Foresta di Birnam, con pianto di copertoni addentati da una putrella brunita, ha pochi confronti, con tutto il restante.
Anche se ci sono quadri importanti, da Piero di Cosimo, con pedigré berensoniano, e ben due Strozzi (e due «profili continui» del Dux di Bertelli) per passare a un raro Cennino Cennini, con Madonna e Bambino che fruga imperioso nel decolté, ad un insolito Jacopo di Paolo, Margherita segregata in carcere ed il padre, con palandrana rossa, che adora gli idoli.
Alquanti caravaggeschi, da Tournier, a due Valentin che starebbero benissimo alla mostra romana sui Bassifondi del Barocco (Lampronti) ad un vivido battagliante come il Renzi (Frascione), doppiato da una arroventata battaglia in ceramica di Fontana. Dall’insolito ritratto di cavallone di Baccio del Bianco (Orsi) a molti vedutisti: Brill, Bellotto, un Canal, e un curioso bellottesco anglosassone, che si chiama William James, ma non è il filosofo.
Gran festa al Novecento storico e ai Sei, con molto Casorati (uno strano, che pare di Daphne, da Mazzoleni) un raro ritratto di Persico e molto Levi e Boswell, dal Ponte, uno strambo Galante spiritico da Biasutti e, noblesse oblige, Klee, Picasso, Sutherland, Burri. Come sempre, medaglia inevitabile a sua Maestà Paolini, per un sobrissimo altare bianco-grigio, millimetricamente sbilenco.
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