Malachi Farrell | PUBLIC ENEMIES

Dal 18/02/2016 Al 23/04/2016

“Southern trees bear a strange fruit,
blood on the leaves and blood at the root,
black body swinging in the Southern breeze,
strange fruit hanging from the popular trees”

Public Enemies è la prima personale in Italia dell'artista irlandese cresciuto a Parigi Malachi Farrell (1970), nella quale presenta una serie di installazioni con applicazioni cinetiche ed elettroniche. Dopo la collettiva Une Histoire del 2015 al Centre Pompidou, curata da Christine Macel (direttore della mostra di arti visive alla Biennale di Venezia del 2017), la mostra personale al The Crypt London, l’esperienza pluriennale alla Galerie des enfants sempre al Pompidou, le mostre collettive all’ Hans Arp Museum and Schrin Kunsthalle in Germania, l’esposizione del 2002 Money and Value the last tabou, a Biele in Svizzera, curata da Harald Szeemann, Farrell propone alla galleria Raffaella De Chirico una serie di installazioni peculiari della sua ricerca artistica.

Farrell utilizza il suono, la luce, circuiti elettronici complessi da lui interamente realizzati e il suo lavoro è altresì contaminato dalla cultura punk e industriale e dal teatro di strada. Intensamente scenografico, il lavoro di Farrell è impregnato di sarcasmo corrosivo e di ruvida ironia. I suoi oggetti ricordano le macchine celibi delle avanguardie storiche e sembrano appartenere, per certi versi, all’estetica Fluxus che utilizza materiali poveri e di scarto. A meccanismi funzionanti in maniera solo apparentemente semplice, Farrel sovrappone una riflessione di carattere socio-politico che attinge dai temi della realtà e li trasfigura in una visione teorica, partendo dai disequilibri e dalle contraddizioni del presente.

Tra i concetti chiave del filosofo tedesco Carl Schmitt, nella sua lapidaria formulazione, vi fu certamente quello relativo al rapporto amico-nemico come reale essenza del politico: non c'è bisogno che il nemico politico sia moralmente cattivo o esteticamente brutto. Egli è ciò che esistenzialmente è estraneo rispetto a chi, amico, è esistenzialmente affine. In tal senso il nemico non è l'inimicus privato, ma è l'hostis, il nemico pubblico.

Tra i lavori in mostra Strange Fruit (2010), il cui titolo è ispirato dall’omonima canzone scritta dal compositore Abel Meerpol, testo di forte denuncia contro i linciaggi dei neri nel sud degli Stati Uniti e magistralmente interpretata dalla cantante afroamericana Bille Holiday per la prima volta nel 1939 al Café Society del Greenwich Village. Lo “strano frutto” di cui si parla nella canzone è il corpo di un nero che penzola da un albero. Allo stesso modo, nell’installazione di Farrell, vecchie scarpe pendono dall’alto come metafora di un’umanità lasciata “appesa”, ciondolante, a rappresentazione di una forte crisi sociale. Le scarpe di Strange Fruit parlano, e a dar loro voce è la versione nazista di Peter Sellers di She Loves You dei Beatles, (nella quale due perfetti soldati tedeschi si danno il cambio di guardia spartendosi i versi della canzone), una caricatura del fantasma della dittatura, di reminiscenza altresì chapliniana.

I Public Enemy sono un gruppo rap statunitense noto per i temi politici nei loro testi, per la forte critica verso i mass media e per l’attenzione alla comunità afroamericana. Nell’installazione Give them an inch and they take a mile (1996), Farrell ha realizzato una piccola casa in legno dalla quale spuntano dei vecchi rami in movimento ricordando un orologio a cucu, dalla quale fuoriescono delle seghe in legno e motoseghe circolare. Come in un piccolo teatro, le lame “cantano” anch’esse, sincronizzate come con la cover di Flash Gordon dei Queen eseguita dai Public Enemy, mettendo in scena un attacco visuale e acustico. Può l’orrore essere divertente? Pans Freak è la rappresentazione di un concetto che lega paura e sense of humor in un’installazione formata da 12 padelle “parlanti”.

Con la scultura Coke, l’artista individua nell’utilizzo delle droghe e in particolare nell’uso della cocaina un ulteriore nemico pubblico nella declinazione di idea del successo che inevitabilmente si accompagna al cliché del soggetto vincente ma nella realtà succube di un’assoggettazione al cliché stesso.

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